DEFINIZIONI
Poesia
La poesia, era, ed è ancora, un genere letterario che si distingue dalle
altre forme per la sua specifica suddivisione del testo in versi.
Dall’ottocento in poi, sono andate man mano scomparendo le rigide
distinzioni tra un tipo e l’altro di poesia, per cui il termine poetico
viene utilizzato anche per evidenziare l’aspetto lirico di molte pagine di
prosa.
In ogni caso, il testo poetico può essere una successione ininterrotta
di versi, oppure, essere suddiviso in strofe.
Verso
Il verso è una delle righe che compongono la poesia e non sempre i versi
hanno la stessa lunghezza.
La lunghezza del verso non è casuale, ma regolata da scelte precise
dell’autore e vincolata da principi storicamente tramandati.
I versi prendono il nome dal numero di sillabe che li compongono.
Binario |
composto da due sillabe |
Ternario |
composto da tre sillabe |
Quaternario |
composto da quattro sillabe |
Quinario |
composto da cinque sillabe |
Senario |
composto da sei sillabe |
Settenario |
composto
da sette sillabe |
Ottonario |
composto
da otto sillabe |
Novenario |
composto
da nove sillabe |
Decasillabo |
composto
da dieci sillabe |
Endecasillabo |
composto da
undici sillabe |
Dodecasillabo |
composto da dodici sillabe |
Versi sciolti.
Sono versi vincolati con gli altri presenti nella strofa soltanto dal
numero delle sillabe e sciolti da ogni legame di rima.
Versi liberi.
Sono versi non vincolati con gli altri presenti nella strofa, né per il
numero delle sillabe, né per le combinazioni strofiche, né per la rima.
Rima
La rima, in poesia, è la perfetta uguaglianza di suono finale tra due o più parole a partire dalla vocale accentata.
La rima può essere piana, tronca o sdrucciola, a seconda dell’ultima parola che completa il verso.
Rima piana:
Con
il cuore colmo d’amòre,
soffro d’indicibibil dolòre.
Rima tronca:
La dove manca la libertà
veloce avanza l’autorità.
Rima sdrucciola:
Un gran giornale làcero
da mandare al màcero.
Tipi di rima
A seconda di come si dispongono i versi che formano la rima possiamo avere:
rima baciata; rima alternata; rima invertita; rima incrociata; rima incatenata;
Rima baciata
- segue lo schema
AA – BB – CC.
La rima baciata è la rima più semplice da costruire ed appartiene alla poesia popolare, conferendo al testo un ritmo di carattere ripetitivo.
La cavalla storna
di Giovanni Pascoli
Nella Torre il silenzio era già alto. |
A |
Sussurravano i pioppi del Rio Salto. |
A |
I cavalli normanni alle lor poste |
B |
frangean la biada col rumor di croste. |
B |
|
|
La in fondo la cavalla era, selvaggia, |
C |
nata tra i pini su la salsa spiaggia; |
C |
che nelle froge avea del mar gli spruzzi |
D |
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi. |
D |
….omissis…..
Rima alternata - segue lo schema AB – AB
La rima alternata si ha quando il 1° verso rima con il 3° e il 2° con il 4°, e così di seguito di quartina in quartina. Il ritmo è più dinamico che
nella rima baciata, ma abbastanza uniforme.
Il bove di Giosuè Carducci
T'amo pio bove; e mite un sentimento |
A |
Di vigore e di pace al cor m'infondi, |
B |
O che solenne come un monumento |
A |
Tu guardi i campi liberi e fecondi, |
B |
|
|
O che al giogo inchinandoti contento |
A |
L'agil opra de l'uom grave secondi: |
B |
Ei t'esorta e ti punge, e tu co 'l lento |
A |
Giro dè pazienti occhi rispondi. |
B |
..... omissis......
Rima invertita - segue lo
schema AB – BA
; CD - DC
Il primo verso rima con il quarto e il secondo con il terzo (ABBA, ABBA)
e così via di quartina in quartina.
Tanto gentil
di Dante Alighieri
Tanto gentil e tanto onesta
pare |
A |
la donna mia quand’ella altrui
saluta, |
B |
c’ogne lingua deven tremando
muta, |
B |
e li occhi no l’ardiscon di
guardare. |
A |
|
|
Ella sen va, sentendosi
laudare, |
A |
benignemente d’umiltà
vestuta; |
B |
e par che sia una cosa
venuta |
B |
da ciel in terra a miracol
mostrare. |
A |
……omissis……..
Rima incrociata - segue lo
schema ABC – CBA , oppure DEF -
FED in terzina.
Tanto gentil
di Dante Alighieri
……omissis……..
|
Schema |
|
1° |
2° |
Mostrasi sì piacente a chi la mira, |
A |
D |
che dà per gli occhi una dolcezza al core, |
B |
E |
che ‘nterder non può chi non la prova; |
C |
F |
e par che de la sua labbia si mova |
C |
F |
uno spirto soave pien d’amore, |
B |
E |
che va dicendo a l’anima: Sospira. |
A |
D |
|
|
|
Rima incatenata segue lo
schema ABA – BCB – CDC
, denominata anche terzina dantesca.
Il primo verso della prima terzina rima con il terzo. Il secondo verso
della prima terzina, rima con il primo ed il terzo della seconda terzina.
Il secondo verso della seconda terzina rima con il primo ed il terzo delle
terza terzina, e così via. Il più alto esito di tale schema di rime è la
Divina Commedia di Dante Alighieri, interamente strutturata in questo modo
come possiamo vedere qui sotto.
Nel mezzo di camin di nostra
vita
|
A |
mi ritrovai per una selva
oscura, |
B |
ché la diretta via era
smarrita.
|
A |
|
|
Ahi quanto a dir qual era è cosa
dura |
B |
esta selva selvaggia e aspra e
forte
|
C |
che nel pensier rinova la
paura! |
B |
|
|
Tant’è amara che poco è più
morte; |
C |
ma per trattar del ben ch’i’ vi
trovai |
D |
dirò de l’altre cose ch’i v’ho
scorte. |
C |
|
|
Io non so ben ridir com’i’
v’intrai, |
D |
tant’era pien di sonno a quel
punto |
E |
che la verace via
abbandonai. |
D |
|
|
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle
giunto, |
E |
la dove terminava quella
valle |
F |
che m’avea di paura il cor
compunto, |
E |
|
|
……omissis……..
Strofa. E’ un insieme di due o più versi che formano come dei
blocchi e che sono distanziati fra loro da una riga
vuota.
Le strofe a schema rigido codificate dalla tradizione letteraria
sono:
-
Il distico, è una strofa di due versi, in genere a rima
baciata.
-
La terzina, è una strofa di tre versi a rima
incatenata.
-
La quartina, è una strofa di quattro versi a rima
alternata od incrociata.
-
La sestina, è una strofa di sei versi.
Può seguire schemi
diversi, ma il più frequente è:
A
- B -
A - B
- C - C.
-
L’ottava, è una strofa di otto versi.
Anche l’ottava può
seguire diversi schemi, ma il più frequente è:
A - B
- A -
B - A
- B -
C - C.
Una curiosità. Nella letteratura italiana le strofe usate più
frequentemente sono: la terzina; la quartina e l’ottava.
L’insieme di più strofe formano un componimento poetico.
I principali componimenti della tradizione poetica italiana sono:
- la
ballata.
- la
canzone.
- il sonetto.
La ballata.
Componimento poetico, destinato in origine ad essere cantato e
danzato.
Normalmente una ballata è composta da endecasillabi soli o misti a
settenari.
E’ formata da un numero indeterminato di strofe dette stanze,
tutte della stessa struttura metrica e precedute da una strofa più breve
detta ripresa perché ripetuta alla fine di ogni stanza.
La ballata è considerata:
-
stravagante se la ripresa ha cinque versi;
-
grande se di versi ne ha quattro;
-
mezzana se ne ha tre;
-
minore quando ne ha due;
-
piccola se ha un solo endecasillabo;
-
minima se ha un solo verso
settenario.
Ogni stanza, ha due mutazioni o piedi, uguali fra loro sia
per metro sia per rime, e una volta, avente la stessa struttura
metrica della ripresa, con la quale fa rima.
Il metro della ballata venne adottato anche dalla lauda e
più tardi dal canto carnascialesco.
Dal seicento, dopo l’epoca rinascimentale e barocca, il suo utilizzo è
andato esaurendosi per finire dimenticato.
La canzone.
La canzone è considerata il componimento più solenne della tradizione
poetica italiana. E’ costituita da una serie di strofe o stanze,
tutte uguali fra loro per struttura metrica e rime.
Le strofe, sono seguite di solito da una strofa più breve chiamata
congedo, nella quale il poeta si rivolge alla sua opera
accomiatandosi.
Ogni strofa è composta da due parti: la fronte, e la sirma
o coda.
La fronte e la sirma possono essere divise in due parti uguali, le prime
chiamate piedi, le seconde dette volte.
La fronte e la sirma sono poi generalmente concatenate fra loro per
mezzo di un verso detto chiave o
concatenazione.
Il sonetto.
Il sonetto è un componimento di antica tradizione poetica, composto da
14 versi endecasillabi suddivisi in due quartine e due terzine.
Le prime due quartine hanno rime ripetute secondo il seguente
schema:
A B A B – A B A B
Oppure A B B A- A B B A.
Le ultime due terzine più frequentemente rimano secondo i seguenti
schemi:
C D E – C D E oppure C
D E – E D C
od anche C D C – D C D
od ancora C D C – E D E.
Una particolare composizione poetica è il sonetto caudato,
seguito cioè da una coda di più strofe, composte, ognuna di esse, da un
settenario, rimante con l’ultimo verso dell’ultima terzina e da due
endecasillabi che fanno rima fra loro e con il successivo settenario e così
via.
L’origine del sonetto è ignota, il primo esempio si ha con Giacomo da
Lentini, uno dei più antichi rimatori della scuola siciliana, considerato
dai più il suo inventore.
INTRODUZIONE ALLA
METRICA
Il nostro linguaggio si basa sostanzialmente, nella
produzione e nella recezione di suoni articolati chiamati
foni.
Il fono è la realizzazione di un qualsiasi suono del
linguaggio.
Dalla fonetica si distingue la fonologia, la
quale classifica e studia i foni che hanno
capacità distintiva, chiamati fonemi. I fonemi, alternandosi in
un medesimo contesto fonico, danno origine a significati
diversi.
Il problema può insorgere di fronte alle domande: Cosa sono
i foni? Cosa sono i fonemi?
Si pensi ad esempio alla parola “carro” pronunciata da una
persona con la “r” moscia, e pronunciata da una seconda
persona con la “r” normale. Risultato: due
pronunce diverse, ma le persone che ascoltano percepiranno un
solo significato.
Riprendiamo, questa volta la parola “caro”, e sostituiamo la
lettera iniziale, la “c”, con la lettera “f”, otteniamo due
parole dal significato diverso “caro” e
“faro”.
Alle due domande poste poc’anzi possiamo rispondere in
questo modo: un fono si ha quando, cambiando il suono della
pronuncia, la parola resta la stessa ed il significato non
cambia. Viceversa cambiando il fonema iniziale, si cambia il
suono, si cambia la parola e di conseguenza
anche il significato della stessa.
Il fonema è l’unità linguistica primaria per determinare il
significato di una parola.
Metrica.
La metrica si occupa della disposizione dell’argomento da
trattare in versi.
Le forme metriche che si sono tramandate nei secoli, seguono
regole ben precise per la suddivisione dei versi in
sillabe.
Questo aspetto della poesia, almeno per chi inizia a
scrivere i primi versi, non va esasperato, perché da solo, non
garantisce la qualità di un lavoro poetico.
Sillaba. Il dizionario della lingua italiana
definisce la sillaba un elemento della parola pronunciato con
una sola emissione di voce.
Questo suono, comune a tutte le parlate, si rappresenta
graficamente con una o più lettere delle quali almeno una è
vocale.
La sillaba costituisce l’unità fonica della lingua
parlata.
Da quanto annunciato deduciamo che:
-
La sillaba contiene sempre una vocale.
-
Può essere composta da una, da due o più vocali. (a; ai;
aia).
-
Oppure essere composta da una vocale e da una, due o più
consonanti. Le consonanti possono precedere una vocale (ci.. ;
cri.. ; stra…); seguire una vocale (in; … imb…. ; istr…);
precederla e seguirla nella stessa sillaba. (ser.. ; ster.. ;
screz…).
Le sillabe, a seconda della loro lettera finale sono
considerate sillabe aperte o chiuse.
Aperta: quando termina con una vocale. (si;
no; sta; stra).
Chiusa: quando termina con una consonante.
(al; mar; stop; strep).
Quantità di sillabe. Nella lingua italiana,
relativamente alla quantità di sillabe contenute, abbiamo
parole:
monosillabi
no; si.
bisillabi
so-le; lu-ce.
trisillabi
sa-la-te; pa-ta-te.
quadrisillabi
pa-ta-ti-ne.
pentasillabi
sa-lu-ta-te-lo.
esasillabi
sa-lu-ta-te-me-lo.
eptasillabi
in-di-pen-den-te-men-te.
ottasillabi
in-di-men-ti-ca-bil-men-te.
ennasillabi
in-tel-let-tua-li-sti-ca-men-te.
decasillabi
in-con-ven-zio-na-bi-liz-za-zio-ne.
endecasillabi
pre-ci-pi-te-vo-lis-si-me-vol-men-te.
dodecasillabi
in-ten-si-fi-ca-bi-lis-si-me-vol-men-te.
Accento tonico e fonico
Accento tonico. Nella maggior parte dei casi, le
parole della lingua italiana, a seconda della posizione
dell’accento tonico che cade su di una sillaba, possono essere:
alcune tronche; la maggior parte piane; alcune
altre sdrucciole;
più raramente bisdrucciole e
trisdrucciole.
Alcuni esempi:
Bon-tà;
Ca-ri-tà;
Sono parole tronche perché
l’accento tonico cade sull’ultima sillaba.
Sé-dia;
Se-dé-re;
Sono parole piane perché l’accento tonico cade sulla
penultima sillaba.
Pò-ve-ro;
Cà-pi-to
Sono parole sdrucciole perché l’accento tonico cade
sulla terzultima sillaba.
Accento fonico. Sempre nella lingua italiana,
esistono vocali (la E e la O), che a volte hanno
una pronuncia aperta e lunga ed altre volte una
pronuncia chiusa e breve.
Per distinguerle si fa uso dell’accento grave nel
primo caso, acuto nel secondo.
Alcuni esempi
In-siè-me;
Cuò-re Accento grave, suono
aperto e lungo.
Per-ché;
Tór-do Accento
acuto, suono chiuso e breve.
PREMESSA
ALLE REGOLE DELLA SILLABAZIONE
Un gran numero di studiosi della metrica stabilisce che la
versificazione italiana è del tipo sillabo – accentuativa.
Con questa definizione si vuole mettere in evidenza
l’importanza che i criteri di sillabazione e quelli riguardanti
la disposizione degli accenti hanno nella creazione dei versi
italiani.
E’ doveroso ricordare che altri metricologi hanno fatto
notare come nella versificazione in lingua italiana, ha molta
importanza anche il ritmo del verso.
Tutti però concordano nell’affermare che c’è una
particolarità nella nostra lingua parlata, quella di percepire
le sillabe di una parola come se fossero tutte della stessa
durata.
Ascoltando le parole che di seguito riportiamo, possiamo
dire che, essendo tutte formate da due sillabe, esse hanno la
stessa lunghezza.
O-ca -
vi-no -
sor-te -
fran-co -
sfa-scio - strac-cio
1
2
1
2
1
2
1
2
1
2
1 2
In questa valutazione non ha nessuna importanza che:
Oca
sia composto da 3 fonemi.
Vino
sia composto da 4 fonemi.
Sorte
sia composto da 5 fonemi.
Franco
sia composto da 6 fonemi.
Sfascio
sia composto da 7 fonemi.
Straccio
sia composto da 8 fonemi.
Allo stesso modo, usando come unità di misura la sillaba,
possiamo dire che la parola aceto, (tre sillabe), è più
lunga della parola straccio, (due sillabe), anche se
aceto è composto da cinque fonemi e straccio da otto.
Normalmente si definisce sillaba, un fonema o un insieme di
fonemi che si possono articolare con una sola emissione di
voce.
Le sillabe, costituiscono l’unità di misura nella
versificazione.
Sono dunque da considerarsi uguali, due versi che presentano
un numero uguale di sillabe. Vedere
- Quantità di sillabe.
Anche il ritmo ha la sua rilevanza, inferiore a quella delle
sillabe, ma pur sempre importante. In
pratica è l’accento della poesia, quello che dà la cadenza del
verso e sul quale va a poggiarsi la
voce.
Abbiamo visto che la maggior parte delle parole italiane
sono: piane, alcune sdrucciole e poche
tronche.
Si possono distinguere perciò, a seconda della parola che si
trova alla fine del verso:
a)
versi piani,
b)
versi sdruccioli,
c)
versi tronchi.
Proprio perché le parole italiane sono per la maggior parte
piane il verso tipicamente italiano è il verso
piano.
Importante. Al fine del conteggio delle sillabe i
versi sdruccioli avranno una sillaba in più dei versi piani, ed
i versi tronchi una in
meno.
Nella lingua italiana, esistono delle frasi, che dal punto
di vista ortografico sono composte da un certo numero di
sillabe, ma che nella poesia, stranamente, vengono contate in
modo diverso.
La discussione sul come contare le sillabe in presenza di
vocali contigue è durata secoli, ed a questo problema, i poeti
hanno dato sovente risposte contraddittorie.
Vediamo intanto come possiamo rispondere a questo
quesito:
Quand’è che le vocali contigue contano per una, due o più
sillabe ai fini della misura del verso?
Dobbiamo conformarci alla natura della pronuncia italiana,
che non stacca le vocali contigue, ma passa dall’una all’altra
senza interrompersi.
Nel verso italiano due vocali che si seguono, anche se
appartenenti a parole diverse, possono formare un’unica
sillaba, ed in questo modo formare una sola unità metrica.
Tuttavia, questa regola, all’apparenza semplice, semplice
non lo è affatto, in quanto presenta importanti eccezioni.
Vediamo le regole per capire.
Premessa indispensabile.
Sappiamo che nel nostro parlare esistono delle combinazioni
di due o tre vocali che vengono espresse mediante un’unica
emissione di voce; queste combinazioni prendono il nome di:
dittongo e trittongo.
Per comprendere bene cosa sono i dittonghi ed i trittonghi è
necessario capire il concetto di semiconsonante e di
semivocale.
Le vocali: “a -
e - i
- o -
u” sono fonemi che escono dalla cavità orale
e nasale senza incontrare ostacoli, e costituiscono la base
della pronuncia. Qualsiasi parola per essere pronunciata deve
comprendere almeno una vocale. In esse si distinguono:
vocali più
forti
a - e
- o
vocali più deboli
i - u
Semiconsonanti e semivocali.
La vocale “ i “ e la vocale “ u “ senza accento (atone), e
precedute o seguite da un’altra vocale diventano suoni
intermedi tra quelli delle vocali e quelli delle consonanti.
Quasi non vengono pronunciate.
Vengono considerate:
Semivocali, quando seguono
una vocale forte, ad esempio la “i” di
seicento,
oppure la “u” di pausa, ecc..
Semiconsonanti, quando precedono la vocale più
forte, ad esempio la “i” di pioggia, o la “u” di
lingua,
ecc..
Dittongo.
Il dittongo è l’unione di una vocale debole, non accentata,
“ i “ oppure “ u “ con una seconda vocale forte, anche se le
due vocali appartengono a parole contigue.
In buona sostanza, un dittongo si ha:
1)
Quando la “ i “ o la “ u “, atone, sono unite ad una seconda
vocale forte, ad esempio la “i” di
fiato, o la
“u” di lingua,
ecc..
2)
Quando la “ i “ o la “ u “, sono unite fra loro ed una di esse
è accentata, (fiuto,
guida, ecc.).
Trittongo.
Nella grammatica tradizionale il trittongo è l'unione
delle due vocali deboli
“i ed
u”, o di
due “i” non accentate, con una vocale forte “a, e oppure o”.
I trittonghi possibili sono,
perciò: /iài/;
/ièi/; /iòi/;
/uài/; /uèi/;
/uòi/; /iuò/; /uià/.
riài;
mièi;
iòi;
guài;
quèi;
buòi;
a-iuò-la;
con-ti-nuià-mo.
Come per i dittonghi, i
trittonghi non vanno mai divisi quando si sillaba una
parola.
Iato.
Lo iato è la sequenza di due vocali consecutive pronunciate
con due distinte emissioni di voce.
Possiamo avere due distinti modi di formare lo iato:
a)
Quando
le vocali contigue non sono la “ i “ o la “ u “.
aorta = a
- or – ta,
eroe
= e – ro – e.
b)
Quando sono presenti la “ i “ oppure la “ u “
accentata.
via = vì – a;
paura = pa – ù –
ra).
Grafemi.
Così, come il fonema è la minima unità fonica, il grafema
indica la minima unità di scrittura.
Combinati assieme i grafemi formano le parole scritte, ed in
pratica sono rappresentati da ogni singola lettera
dell’alfabeto.
REGOLE PER LA
SILLABAZIONE
1a)
Una vocale, che si trova all’inizio di una parola ed è seguita
da una sola consonante, forma sillaba a sè.
Esempio:
asino
a - si
- no.
operatore
o -
pe -
ra -
to - re.
2a)
Le vocali di un dittongo o di un trittongo non possono mai
essere divise e quindi formano una sola
sillaba. Esempio:
siepe sie
- pe.
aiuola
a - iuo
- la.
3a)
Alcuni gruppi di vocali possono essere scambiati per dittonghi,
ma dittonghi non sono.
Nelle parole composte, ad esempio il gruppo formato dalla
vocale “ i ”, appartenente alla prima parte della parola e le
altre vocali che attengono alla seconda parte, sono
separabili.
Esempio: Sappiamo che dalla parola uscire si
ottengono tre sillabe e che la consonante “s” non si separa
della consonante che la precede.
Uscire
u -
sci - re.
Nella parola composta “riuscire =
ri + uscire “, le vocali “
i ed u “, sembrano un dittongo, ma non lo formano
e quindi sono separabili.
Riuscire
ri - u
- sci
- re.
4a)
Allo stesso modo, non forma dittongo e quindi è separabile dal
resto la “ i “ seguita da altre vocali nelle parole derivate a
condizione che la forma primitiva della parola avesse la “ i “
accentata.
Esempio: Consideriamo la parola primitiva
Spìa
Spì -
a.
E le parole
derivate
Spiare
Spi -
à - re.
Spiavamo
Spi -
à - va -
mo
5a)
Una consonante semplice posta fra due vocali forma sillaba con
la vocale che la segue.
abete
a
- be -
te.
filo
fi -
lo.
caposala
ca -
po -
sa - la.
6a)
Le consonanti doppie si dividono sempre allo stesso modo, una
stà con la vocale che le precede, l’altra stà con quella che
segue.
ballo
bal -
lo.
carrozza
car -
roz -
za.
7a)
Due o più consonanti consecutive, diverse fra loro formano
sillaba con la vocale che le segue.
All’inizio di parola:
sfogare
sfo -
ga - re.
stimare
sti -
ma - re.
All’interno della parola:
destinare
de -
sti -
na - re.
dimagrire
di -
ma -
gri - re.
8a)
Due o più consonanti consecutive, diverse fra loro, si dividono
in modo che la prima consonante del gruppo vada con la vocale
che la precede, e l’altra o le altre con la vocale della
sillaba che segue, se non costituiscono un gruppo all’inizio di
una parola.
Questo succede con alcuni gruppi consonantici, come:
bd; bs; cm; cn; ct; dm; ft; gm; lm; mb: mp; nc; nt; pt; rb;
rc; rd; rg; rl; rm; rn; rp; rs; rt; rv; rz.
Vediamo alcuni esempi:
difterite
dif -
te -
ri - te.
portantina
or -
tan -
ti - na.
elmetto
el -
met - to.
merletto
mer -
let - to.
orzo
or -
zo.
9a)
La consonante “ s “ seguita da una o più consonanti, forma
sillaba con la vocale che la segue e non con quella che la
precede.
risposta
ri -
spo - sta.
trascurato
tra -
scu -
ra - to.
10a)
I prefissi nella lingua italiana sono circa un centinaio e le
parole composte che li contengono si possono sillabare secondo
le regole che abbiamo già citato.
Alcune di queste parole composte, e precisamente quelle con
i prefissi, trans; tras; dis; cis;
in; e simili, si possono sillabare secondo le regole che
abbiamo già citato, oppure si può conservare integro il loro
prefisso.
Vediamo alcuni esempi:
Trasportare
Sillabato secondo le
regole
Tra
- spor
- ta -
re.
Sillabato con prefisso integro
Tras
- por
- ta -
re.
Disperdere
Sillabato secondo le
regole
Di
- sper
- de -
re.
Sillabato con prefisso integro
Dis
- per
- de -
re.
11a)
I digrammi ed i trigrammi non si dividono mai.
Digrammi.
Il digramma è una particolare unione di due grafemi, che
rappresentano un unico fonema.
I digrammi nella lingua italiana sono sette, e
precisamente:
ci + vocale a, o, u:
camicia, ciocca, ciuffo;
ch + vocale e ed i: oche, chimica, chilo;
gh + vocale e ed i: streghe, ghette, laghi;
gi + vocale a, o, u: giacca, giostra, giudice;
gl + vocale i: egli, figli, degli;
gn + una vocale: vergogna, agnello, bagnino, gnomo e ugnuno;
sc + vocale e ed i: scena e scivolo.
Trigrammi.
Il trigramma è una particolare unione di tre grafemi, che
rappresentano un solo fonema.
I trigrammi nella lingua italiana sono due, e
precisamente: sci
e gli.
Sci
seguito dalla vocale a – o –
u.
Coscia
- fascio
- asciutto.
Gli
seguito dalla vocale a –
e – o – u.
Paglia
- soglie -
figlio
- pagliuzza.
Dalla sillaba al
verso.
Se la capacità di riconoscere correttamente le sillabe che
compongono una parola è importante in grammatica, essa è
fondamentale nella metrica, in quanto i versi italiani basano
la loro identità in base al numero di sillabe che li
compongono.
In italiano si distinguono tre casi:
1°)
All’ultima sillaba tonica ( accentata ) del verso, segue una
sillaba atona o non accentata. In questo caso abbiamo un
verso piano.
2°)
il verso termina con l’ultima sillaba tonica od accentata. In
questo caso abbiamo un verso tronco.
3°)
All’ultima sillaba tonica od accentata seguono due sillabe
atone. In questo caso il verso è sdrucciolo.
E’ raro che dopo l’ultima sillaba tonica seguano più di due
sillabe atone, se ciò accadesse il verso sarebbe
bisdrucciolo; trisdrucciolo ecc..
Consideriamo un verso, scomponibile in una serie di dodici
sillabe con l’undicesima sillaba tonica. In questo caso il
verso sarà piano e dodecasillabo.
Un verso potrà essere considerato dodecasillabo anche
se:
a)
ha undici sillabe, ma il verso è
tronco.
b)
ha tredici sillabe, ma il verso è sdrucciolo.
c)
ha quattordici sillabe, ma il verso è bisdrucciolo.
d)
ha quindici sillabe, ma il verso è trisdrucciolo.
Lo stesso discorso vale per tutti gli altri versi
tradizionali.
N.B. Le regole grammaticali esposte, non sempre
consentono di determinare esattamente il numero di sillabe che
compongono i versi di una poesia.
Facciamo un esempio.
Sappiamo che la Divina Commedia di Dante è scritta in
terzine endecasillabi, ma seguendo le regole grammaticali
sopraesposte, fin dai primi versi i conti non tornano. Vediamo
il primo verso.
Nel– mez – zo – del – ca – min –di –no – stra - vi – ta
(11 sillabe)
Ma già nel secondo verso il conto non torna più.
Mi – ri – tro – vai – per – u – na – sel – va – o – scu –
ra
(12 sillabe)
Dove sta l’inghippo?
Il fatto è, che quando tutte le vocali del verso sono
separate da almeno una consonante, la divisione metrica nella
poesia corrisponde a quella grammaticale.
Quando ciò non accade, le regole grammaticali che abbiamo
esposte non sono più sufficienti a spiegare la scansione
metrica, e allora, bisogna considerare alcuni “fenomeni” che
comportano una variazione del numero di sillabe rispetto alla
norma. Essi sono: la sinèresi, la dièresi, la sinalèfe e la
dialèfe.
La sinèresi e la dièresi.
Si definisce sinèresi l’unione di due vocali
consecutive che normalmente si dividono in due
sillabe.
La dièresi invece è la divisione di due vocali
consecutive, normalmente considerate monosillabo in due sillabe
distinte.
La sinèresi unisce ciò che è diviso, mentre la dièresi
divide ciò che è unito.
Dalla grammatica sappiamo che la parola spia, ad
esempio, ha normalmente due sillabe spi-a. Se viene
posta a fine verso mantiene inalterata la sua scansione
sillabica, mentre all’interno del verso subisce il fenomeno
della sineresi e diventa monosillabo.
Come pure, dalle regole grammaticali sopra esposte, sappiamo
che la parola poi è monosillabo. Se viene posta
all’interno di un verso mantiene inalterata la sua scansione
sillabica, mentre alla fine del verso subisce il fenomeno della
dièresi e diventa bisillabo.
In generale, due vocali consecutive, la prima tonica e la
seconda atona alla fine del verso sono bisillabo, mentre quando
si trovano all’interno sono monosillabo.
Parole come: lei, lui, mai, mia, mio, poi, spia, tua,
tuo, via, voi, ecc., alla fine del verso sono bisillabe, se
si trovano all’interno del verso sono monosillabe.
Esempio: La parola mai, a fine verso vale due
sillabe, mentre all’interno del verso, una soltanto. Osserviamo
questi due versi entrambi dodecasillabi.
La – pri - ma – ve - ra - per – me - non – giun - ge –
ma - i
e
Ma – den - tro – al – pet - to – non – tro - va - mai
– ri - stor
Nella maggior parte delle stampe moderne, la dieresi
viene indicata mediante due punti collocati sulla prima vocale
e viene lasciata a chi legge l’interpretazione metrica.
Per non creare confusione al lettore, è opportuno
specificare che:
Quando un verso presenta varie possibilità di sineresi o di
dieresi è difficile decidere quali vocali vanno unite e quali
rimanere divise.
Spesso non è neanche sufficiente conoscere le regole
generali e le consuetudini più diffuse al tempo in cui il verso
risale. E allora che fare?
Tre sono a mio avviso le alternative:
-
a)
Ricorrere agli usi stilistici dell’autore del verso.
-
b)
Riferirsi al genere letterario ed al gusto del tempo in cui il
verso è stato composto.
-
c)
Fidarsi del ritmo.
Sinalèfe e dialèfe.
Quando due vocali, la prima di esse finale di una parola, e
la seconda iniziale della parola che la segue si contraggono in
un’unica sillaba, si ha il fenomeno poetico della
sinalèfe.
Il processo è simile alla
sineresi e si basa sullo stesso principio, ovvero alla mancanza
nella lingua italiana dello stacco tra una vocale finale di
parola e la vocale iniziale della parola che segue.
La sinalefe non altera la normale pronuncia italiana
e non turba il ritmo del verso, ma conferisce invece, un
carattere piacevole e melodioso.
Nel testo poetico la sinalèfe non è segnalata da
nessuna particolare convenzione. In sede di analisi si può
usare il simbolo dell’arco o quello dell’angolo che sottendono
le parti interessate. Quello che segue è un noto endecasillabo
tratto dal Canzoniere del Petrarca.
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono.
Voi ch’a scol ta te in ri me spar se il suo no
Se lo dividiamo in sillabe con le regole della grammatica
otteniamo tredici sillabe con l’ultimo accento sulla
dodicesima.
Il poeta però faceva molto uso della sinalèfe e se
noi teniamo conto di questo fenomeno il verso avrà le sue
undici sillabe.
Voi ch’ascoltate^in rime sparse^il suono.
Voi ch’a scol ta te^in ri me spar se^il suo no.
Dialèfe
Quando due vocali, la prima di esse finale di una parola, e
la seconda iniziale della parola che la segue non si
contraggono in un’unica sillaba, ma rimangono separate e
contano per due sillabe, si ha il fenomeno poetico chiamato
dialèfe.
Va segnalato che gran parte della poesia italiana tende a
limitare l’uso della dialèfe.
Episinalefe
Fenomeno per cui ad un verso ipermetro, cioè, la cui
sillaba finale oltrepassa la misura dovuta, segue un altro
verso ipometro, cosicché, considerando l’ultima sillaba
dell’uno come la prima sillaba dell’altro, si compensa
l’anomalia.
Sinafia.
Fenomeno metrico che unisce due versi contigui e che
si verifica, per esempio, quando la sillaba finale di un verso
ipermetro si fonde, per mezzo dell’elisione o della sinalefe,
con quella iniziale del verso
successivo.
Aferesi, apocope, epitesi e
sincope.
Sono fenomeni linguistici che permettono di variare il
numero delle sillabe nelle parole in modo da adeguarle alle
esigenze del verso.
L’aferesi è la caduta della sillaba all’inizio di una
parola. (verno al posto di inverno).
Apocope è usata per formare rime tronche del tipo
cuor, amor, furor ecc.
Epitesi è l’aggiunta a fine parola di una vocale.
Usata per formare versi con uscita piana al posto di quella
tronca. ( tue al posto di tu, fue per fu, ecc).
La sincope è la caduta di un suono o gruppo di
suoni all’interno di una parola ad esempio,
(spirto da
spirito).
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